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Storie Barbare: il nostro progetto per valorizzare le voci al femminile nell’arte bianca

Storie Barbare: il nostro progetto per valorizzare le voci al femminile nell’arte bianca

C’è un piccolo paese nell’entroterra marchigiano che si chiama Barbara. È qui che ha sede il nostro Molino ed è qui che nasce un progetto editoriale e culturale che gioca con le radici e le narrazioni. “Barbara” è anche una parola carica, antica, che porta con sé echi di forza e alterità. È da questa parola – potente, ruvida, evocativa – che nasce Storie Barbare, il progetto editoriale che abbiamo lanciato per mettere al centro le voci femminili dell’arte bianca. In un mondo che spesso racconta il pane in termini di tecnica e innovazione, Storie Barbare sceglie un’altra via: quella del racconto, della memoria, della soggettività. Una raccolta di interviste, video, parole che danno spazio alle artigiane che ogni giorno impastano la loro personale visione. Non testimonial, ma testimoni.

Il progetto nasce per dare spazio a voci femminili dell’arte bianca: fornaie, pasticcere, panificatrici che con il loro lavoro quotidiano hanno costruito non solo impasti e lievitazioni, ma identità professionali forti e autonome. Donne che hanno scelto, a volte controcorrente, di restare fedeli a una visione personale.

Storie Barbare è un ritratto corale che nel tempo continuerà a crescere, coinvolgendo diverse protagoniste della filiera. A inaugurare questa iniziativa sono stati tre incontri, conversazioni sincere che hanno come filo conduttore il considerare il pane come una sorta di lingua madre. Francesca Casci Ceccacci, Alessandra Chiappini e Lorenza Roiati ci hanno ricordato come, nel gesto apparentemente semplice di fare il pane, si nascondano invece traiettorie personali, amore per il territorio e attenzione alla comunità.

Dai dialoghi con loro sono emerse tre parole chiave, tre valori che diventano la spina dorsale di questa prima tappa del percorso.

Responsabilità

Con Francesca Casci Ceccacci di Pandefra è la parola responsabilità a mostrare tutta la sua forza. Nell’intervista infatti Francesca ci ricorda che “chiunque si occupi di cibo abbia la responsabilità di conoscere quello che sta dando da mangiare sia come materia prima che come lavoro e dignità di chi quella materia prima l’ha prodotta. Soprattutto io come operatore del settore alimentare ho la responsabilità di darti un cibo che so che ti fa stare bene.

La responsabilità del panificatore è quella di conoscere il grano, più in generale conoscere il cereale che sta dietro la farina, conoscere il mugnaio e, attraverso la ricettazione trasferire al consumatore finale tutto questo valore.

Solo in questo modo la panificazione ha un valore sociale veramente importante. Può cambiare e spostare sia le dinamiche agricole che le dinamiche economiche del settore. Questo è il motivo per cui io mi sveglio la mattina e sono felicissima di fare questo lavoro”. 

Identità

Alessandra Chiappini, con la sua Lale Bakery, ha trasformato i dubbi in certezze. Ecco quello che ci ha raccontato: “La parola che mi rappresenta e che per me ha senso ogni volta che penso al pane e a quello che rappresentato per me è identità. La fatica che ho fatto nell’aprire la mia bakery, la vera sfida è stata con me stessa. Ero arrivata a un certo punto della mia vita in cui mi guardavo introno e mi sembrava che tutti avessero trovato quello che volevano fare e io invece ero in una specie di limbo. A un certo punto ho scoperto che le mie mani sapevano fare qualcosa ancor prima che io ne prendessi coscienza. Questa cosa mi ha sollevato da tanti dubbi e tanti problemi. È stato terapeutico”.

So che può sembrare strano da dire ma per me è stato questo: la forza che mi ha dato fare il pane ha poi consolidato la mia identità. E l’identità che così ho trovato mi ha dato la forza di gridarlo anche agli altri. 

Diritti

Per Lorenza Roiati de L’Assalto ai Forni, il pane “è un ponte verso i diritti” e, tra i diritti su cui è importante aprire un confronto, c’è quello alla maternità e a una maternità tutelata anche per le professioniste titolari d’impresa. Ricorda Lorenza: “noi professioniste siamo considerate madri di serie B. Si dà per scontato che possiamo lavorare fino a poco prima della nascita del bambino e dopo aver partorito di fatto è tutto sulle nostre spalle. Chi ha un’impresa sa cosa significa rallentare, perché tu puoi anche fatturare meno ma tutti i costi impattano allo stesso modo, compresi i contributi che noi paghiamo come artigiane e che sono molto alti. Va detto che riceviamo un indennizzo per 5 mesi ma si tratta di briciole”.


Il mio invito è quello di uscire dalla zona d’ombra come artigiane e donne titolari d’impresa, perché si tratta di una situazione che va assolutamente normata.

Con Storie Barbare abbiamo inaugurato un progetto che va oltre la comunicazione. È un gesto culturale, una raccolta di sguardi differenti su un mestiere antico, che diventa spazio di consapevolezza e innovazione. Nel tempo, nuove voci si aggiungeranno a queste, senza cercare una linea editoriale unica, ma lasciando emergere la complessità e la bellezza della diversità.