LA SVOLTA DEL GRANO, FRA TERRA E UOMO
Scopriamo visione e valori di Molino Paolo Mariani, una realtà straordinaria fondata sul dialogo costante tra grano,
uomo e territorio. Ossia tra tutti gli attori della filiera, che vanno dalla semina al cibo. Passando dal recupero di antiche
memorie, per vivere l’oggi più consapevolmente e responsabilmente.
Rivoluzione. Dal latino re-volvere, ossia volgere di nuovo. Voltare pagina.
A questo fa pensare Molino Paolo Mariani: una realtà fuori dagli schemi, che parte dalla valorizzazione delle varietà autoctone di grano e dalla sperimentazione sul campo per produrre farine eccellenti dal punto di vista tecnico, ma soprattutto per vivere appieno il senso dell’economia circolare. Stiamo parlando di una realtà molitoria che fa capo a un imprenditore illuminato, alla quarta generazione, Danny Mariani, che 15 anni fa ha deciso di investire in ricerca e impostare una produzione al servizio della filiera attiva, mettendo a punto sfarinati innovativi e originali.
Il merito va anche al Responsabile controllo qualità e R&D dell’azienda, Giuliano Pediconi, saggio e profondo conoscitore dell’arte bianca e della materia prima, che qui ha trovato terreno fertile per coltivare la sua immensa passione e tradurre in realtà il sogno di creare un modello vincente di filiera attiva, frutto di un forte investimento in sperimentazione sul grano e un lungo lavoro di studio in laboratorio.
La missione del Molino marchigiano è quella di ricercare la “simbiosi unica territorio-grano-uomo”, ossia la capacità di coltivare il dialogo che recupera la memoria, vivere e ricreare le tradizioni. Approfondiamo questo concetto
nell’intervista esclusiva a Giuliano Pediconi, raggiunto nel laboratorio ‘La casa del Fornaio’ di Contrada Coste, nel comune di Barbara, immersi tra le dolci, verdi e dorate colline di Senigallia.
➔ Giuliano qual è la prima importante tappa della svolta del Molino?
Il Molino Mariani nasce nei primi del Novecento, quando Quinto Mariani acquistò un molino a pietra alimentato ad acqua risalente al 1792, per poi passare all’impiego di energia elettrica e alla macinazione a cilindri negli anni ’50.
Ma la svolta significativa risale al 2008, quando il Molino ha deciso di acquistare 180 ettari di terreni da dedicare alla sperimentazione sul grano, per ricavarne un bagaglio di conoscenze destinato ai ricercatori e ai contadini.
Questo costante dialogo fra terra e uomo, in connessione con il nostro territorio, è stato il primo passo che ci ha permesso di
perseguire la nostra visione.
➔ Qual è la vostra mission?
È quella di chiudere il cerchio sulla filiera attiva, l’abbiamo chiamata così, perché per noi ha senso se coinvolge e mette in comunicazione tutti gli attori della filiera: agronomo, agricoltore, mugnaio, artigiano e consumatore. L’interazione tra uomo e territorio ci mette in contatto con la nostra memoria profonda facendo sì che rinasca la nostra tradizione. Di conseguenza c’è un risvolto positivo sul fronte dell’economia circolare, sinonimo di risparmio economico, benessere ambientale e sociale.
➔ Quanto grano macinate in un anno?
Maciniamo 120 mila quintali all’anno, che corrispondono a circa 2.400 ettari di grano tenero coltivato. Abbiamo 80 conferitori in particolare dalle Marche e in parte in Emilia-Romagna. I grani di forza vengono tutti dalle Marche. Ricordiamo che secondo i dati Istat queste due regioni vantano 160 mila ettari di terra vocati al grano tenero.
➔ In cosa si contraddistingue il processo di macinazione?
Alla base c’è il dialogo con il mugnaio. Da evidenziare la bagnatura del grano, per periodi più o meno prolungati, in base alla durezza dei chicchi. Un processo che consente alla cariosside più dura di ammorbidirsi e quindi sfogliarsi meglio durante la macinatura, senza frantumarsi.
Fiore all’occhiello il nostro impianto dorso-dorso, che garantisce una macinazione più delicata e una sfogliatura più efficace del chicco: ne è prova la qualità del nostro germe di grano vitale, che può essere lasciato a lungo a temperatura ambiente senza ossidare o irrancidire, così come la nostra farina integrale a tutto corpo. Infine, ogni farina viene testata in laboratorio, non attraverso parametri anacronistici, come i classici alveografi o farinografi, ma grazie a un sistema empirico di controllo, da noi codificato mediante un completo processo di lavorazione e fermentazione degli impasti.
Nella fermentazione osserviamo l’attività enzimatica, la stabilità si rileva nei tempi di impastamento e nella cottura in forno.
➔ Qual è la vostra innovazione in termini di offerta?
Dalla nostra ricerca sul campo e dal dialogo con i contadini è nato un prodotto esclusivo: Manitaly, l’unica farina manitoba realizzata con grani marchigiani. Un prodotto 100% made in Italy, nostro massimo orgoglio, che nessuno ha mai proposto, probabilmente per i costi legati alla ricerca.
Possiamo dunque affermare con certezza che il nostro territorio tra mare e terra è l’ambiente ideale per la crescita delle migliori varietà di grano tenero, consacrando le Marche tra le regioni più vocate.
➔ Il progetto Manitaly ha poi avuto ulteriori sviluppi…
Ho compreso che invece di investire sulla combinazione di diversi tipi di grano, potevamo valorizzare le caratteristiche di
ciascuno di essi. Abbiamo quindi studiato ogni singola varietà di grano scorporato dalla Manitaly grazie alle competenze all’interno della nostra filiera attiva, ossia selezione agronomica, macinazione ad hoc e stretta collaborazione con gli artigiani dell’Arte bianca. Da questo progetto è nata la linea Monocultivar, farine di grani in purezza che incarnano le peculiarità di ciascuna varietà di grano.
➔ Ci racconti come si compone la Linea Monocultivar?
Partiamo dalle etichette: abbiamo preferito evitare il nome botanico della varietà di grano, per non indulgere nella massificazione delle mode, innescando inutili ‘inseguimenti’ del mercato. Abbiamo quindi optato per nomi anonimi, mutuati dalle lettere dell’alfabeto greco, abbinandoli a un claim che evidenzia i ‘talenti’ di ogni grano e quindi l’utilizzo ideale. Come Beta, il grano della scioglievolezza; Alpha, il grano della croccantezza; Gamma, il grano dell’Integrale Indefinito; Omega, il grano del Panettone; Zeta, il grano del
Lievito Naturale. A queste si aggiungerà nel 2024, dopo tre anni di ricerca, una varietà francese, trapiantata nelle Marche, la Delta, una farina quasi giallognola con profumi di mandorla. Il dialogo con la materia prima, con la terra, con la storia, dà un senso al mercato e ai prodotti che arrivano sulle nostre tavole.
➔ Un modello virtuoso, ma è replicabile?
Basterebbe sganciarsi dalla mentalità italiana di pensare solo per sé, per fare rete a vantaggio di tutti, dal contadino al consumatore finale. Dobbiamo pensare che nel contesto della globalizzazione siamo destinati a soccombere, se non puntiamo
sulle nostre specificità. Se gli artigiani italiani si guardassero attorno, per vedere le realtà che esistono vicino a loro, potrebbero dare origine a prodotti unici – non assimilabili a quelli dell’industria, con un reale vantaggio competitivo – e al contempo fare del bene all’economia locale e circolare.
LA RICERCA SUL LIEVITO NATURALE DI PEDICONI
Per lievito naturale si intende tutto quel processo che, attraverso l’abbassamento del ph in un dato tempo, crea una fermentazione acida, che il lievito compresso non permette. Il lievito naturale è composto dalla Madre, che è la genitrice del lievito.
Perché la facciamo riposare? Perché l’abbassamento del ph crea un ambiente non adatto a tutti i lattobacilli e i lieviti, selezionando la microflora che ci troveremo nelle fasi successive di lavorazione del lievito. Questo discorso è valido nel contesto del mio metodo, che prevede la sabbiatura e l’induzione della temperatura a 28°C al cuore del lievito dopo 2,5 ore. Questo metodo permette di replicare sempre lo stesso schema in qualsiasi ambiente e ottenere risultati costanti. Io coltivo la Madre settimanale e giornaliera: una che lavora tutti i giorni e che finisce il suo percorso dopo una settimana e una che si stacca in due, una diventa giornaliera e l’altra torna a essere settimanale.
MANITALY
Rispetta l’ambiente: deriva
da grani a km zero, nessuna importazione di grani dall’estero.
Nel segno del benessere: grazie al controllo della materia prima dal campo allo stoccaggio, a garanzia di un cereale sano. Qualità tangibile: profonda conoscenza del grano e dei singoliagricoltori che lo coltivano. Il prodotto è costante a ogni annata agraria.
ZETA
La Zeta si è distinta nella gestione del Lievito Madre nel confronto con tutte le altre varietà che compongono Manitaly. Conferisce al lievito un colore bianco avorio, costanza e stabilità maggiori, oltre a profumi che ricordano il cereale appena mietuto.
OMEGA
Un altro grano estrapolato dalla miscela Manitaly.
Una farina ideale per la produzione del panettone, molto stabile, capace di assorbire i grassi in fase di impastamento
e resistere alle lunghe fermentazioni. Elementi che consentono al panettone di
svilupparsi in modo adeguato in
forno senza restringersi nel pirottino, mantenendo l’impasto morbido e umido a lungo.
Fonte: Articolo DOLCESALATO:
https://www.dolcesalato.com/edicola/#/magazine/JtUJEbms.Ws~b1d/preview